40 anni di storia della LegA Basket Femminile raccontati da Massimiliano Mascolo

Quando nel 1976 il mensile specializzato Giganti del Basket mise intorno a un tavolo alcuni dei principali attori della pallacanestro femminile nazionale, in Italia il momento era particolarmente favorevole per uno sport che stava vivendo un vero e proprio boom e non aveva paura di sperimentare formule e soluzioni che anzi indicavano spesso la via anche ad altre discipline.
Nel basket donne, poi, si era appena usciti da un biennio quasi irripetibile. I risultati della Nazionale azzurra (terza agli europei del 1974 e quarta al mondiali del 1975) erano forse anche superiori a quelli della maschile. Sui campi si affermava una generazione di atlete, guidate da Mabel Bocchi, che peraltro avrebbe dovuto presto fare i conti con le nuove leve formatesi in un vivaio che sembrava inesauribile.
Sulla scia di quanto accaduto nel maschile, la creazione di una Lega delle società era un passo inevitabile, quasi naturale. E venne spontaneo affidarne la presidenza all’ingegner Azeglio Maumary, creatore di quella macchina perfetta che risponde al nome di Geas, autentica dominatrice del basket nazionale e in parte anche europeo per tutto il decennio.
Partiamo dunque con questo piccolo riassunto di quanto accaduto alle squadre italiane durante questi quaranta anni, avvertendo che trattandosi di una seppur modesta celebrazione, si è preferito lasciarne fuori quanto di negativo – e non è stato poco – è avvenuto nel corso di questo quarantennio di vita associativa.
Le protagoniste dovrebbero essere sempre le giocatrici, e dalla prodezza di una di loro cominciamo il viaggio: nel 1977 una italiana, la trevigiana Bianca Rossi, segnava 50 punti in una partita di serie A. Non era un primato assoluto, ma quanti tra voi lettori hanno mai avuto la possibilità di assistere a una prodezza simile, per giunta di una “indigena”, e per di più senza il tiro da tre punti?
Bianca Rossi non ha mai giocato nel Geas che giusto l’anno dopo coronava un decennio di vittorie conquistando la Coppa dei Campioni, primo club dell’Europa occidentale a riuscire nell’impresa. A Sesto San Giovanni arrivava anche l’ennesimo scudetto, in una stagione che chiudeva la fiaba di un gruppo di campionesse capaci di subire appena cinque sconfitte in 123 partite di campionato.
Campionato che era ancora a girone unico, ma già da tempo erano aperte le discussioni sulla necessità di adeguarne la formula anche per allargare la partecipazione oltre che garantire una maggiore incertezza. Nel frattempo la Lega era già al secondo presidente (il bolognese Gianfranco Civolani) al cui fianco operava quel Gigi Frattini che per più di dieci anni è stato il vero fulcro delle attività associative.
Nel 1979 ben dieci regioni erano rappresentate nel massimo campionato. Se una squadra piemontese, il Fiat Torino, vinceva lo scudetto, una atleta siciliana (la palermitana Mara Salvia) era la top scorer. Nella squadra di Vicenza debuttava una lungagnona che apparve subito toccata dalla grazia: si chiamava Catarina Pollini.
Nel 1980 al Fiat Torino riusciva in appena due settimane la clamorosa impresa di vincere Coppa dei Campioni e scudetto, quest’ultimo in un drammatico spareggio vinto di un punto sull’Algida Roma. Ultimo spareggio scudetto fin qui disputato: le novità a lungo discusse stavano finalmente diventando realtà, e dalla stagione successiva ci sarebbe stata la grande innovazione dei playoff per l’aggiudicazione del titolo. Una nuova fase cominciava.

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I playoff regalarono subito incertezza e sorprese. Il titolo del 1981 venne conquistato da Treviso su Vicenza, Rossi vinse il duello con Gorlin; undici partite su sedici della fase finale si chiusero con margini inferiori ai dieci punti, tre finirono addirittura con mezzo canestro di scarto. Come primo passo di una riforma che avrebbe dovuto seguire le orme del campionato maschile, venne creata una serie A2 che rivelò una serie di piazze nuove ed entusiaste pur senza raggiungere mai gli scopi immaginati. Marinella Draghetti, di Parma, fu l’ultima italiana a vincere la classifica realizzatrici, perché dal campionato successivo (e siamo già al 1982) vennero aperte le frontiere e giunsero nel nostro Paese grandi giocatrici di livello assoluto, capaci di ridisegnare le gerarchie. Vicenza tornava a vincere lo scudetto dopo ben tredici anni, e nel 1983 si imponeva anche nella Coppa dei Campioni, aprendo una fase di autentici trionfi del nostro basket in campo europeo, una lunga striscia esauritasi solo all’inizio del terzo millennio.
Nel 1984 diventava presidente della Lega il romano Aldo Vitale, uno dei dirigenti italiani maggiormente apprezzati in ambito internazionale. Roma era protagonista anche nelle coppe europee, imponendosi nella manifestazione dedicata alla memoria di Liliana Ronchetti, la miglior giocatrice italiana degli anni ‘50/’60. Una coppa quasi riserva esclusiva per i nostri club, presenti in sedici finali su diciannove dal 1984 al 2002, a volte risoltesi anche in confronti solo italiani.
Nel 1985 una serie di clamorose prestazioni individuali (solo in minima parte figlie dell’introduzione del tiro da tre) sconvolgevano il libro dei record. Cristina Tonelli a portare sopra i sessanta punti il primato individuale per una giocatrice italiana; Pollard, Jones e Still a fissare addirittura a quota 88 il limite assoluto. Vicenza apriva una lunga serie di successi consecutivi ma soprattutto si imponeva in Coppa Campioni battendo quel Daugawa Riga che aveva dominato il basket europeo per più di vent’anni. Il decimo scudetto (primo club a raggiungere la fatidica stella) raccolto l’anno dopo suggellava un’epoca irripetibile per il club veneto, anche più della quarta e quinta Coppa dei Campioni conquistate nel biennio 87-88 o delle 160 partite vinte in cinque stagioni di serie A, a fronte di appena sei sconfitte.
 

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